L’edificio dell’Opera Pia Moreno (donato a metà dell’800 dal Vescovo mons. Luigi Moreno per l’Opera che aveva fondato), ha un riconosciuto valore storico e alcune pregevoli valenze artistiche culturali. Essa era già nel 1200 residenza di una famiglia “nobiliare” eporediese: i Degli Stria
Si dice che prima del completamento del Castello voluto dai Savoia ad Ivrea (“il castello dalle rosse torri”) i Conti usassero dell’ospitalità degli Stria per incontri e permanenze.
In particolare quando il giovane conte dei Savoia Amedeo VII (il Conte Rosso) ritenne necessaria una pacificazione generale nel Canavese dopo anni di contrasti anche sanguinosi e crudeli per quella che è ricordata come “l’insurrezione dei Tuchini nel Canavese (1386-1391)”. La fine delle violenze dei nobili locali fra loro e con gli “homines”residenti era necessaria ai Savoia per consolidare la loro presenza Italia e organizzare il loro controllo territoriale.
Nella rigorosa ricostruzione del prof. Alessandro Barbero°° si ricorda, come il Conte Rosso lasciò alla contessa Bona (sua mamma) il compito di riunire i nobili e le comunità del Canavese il 2 maggio 1391 proprio alla Casa Stria per dettare i termini della preziosa “pace” leggendo un accordo di arbitrato di pace a lungo studiato anche con i potentati vicini del Monferrato e di Milano.
Quel giorno erano presenti 7 nobili dei Valperga, 31 dei S. Martino e Castellamonte, più i
rappresentanti di Cuorgné, Salassa, Canischio, Campo Colombano, Pratiglione, Pont, Val Soana, Frassineto, Sparone, Ribordone, Locana, Noasca, Ceresole, della valle di Castelnuovo, di Loranzé, Colleretto, Lessolo, Castellamonte, Baldissero, Bairo, Torre, S. Martino, Pranzalito, Perosa, Romano, Strambino, Vialfré; non si presentarono i procuratori di Prascorsano, Camagna, Pertusio, Rivarossa, Front, Barbania, Favria, Valperga
«licet omnes fuerint more solito proclamati», che prima di quel giorno si erano pacificate.
L’ accordo prende le mosse dal ritorno ai nobili locali dei castelli e territori occupati dai Tuchini, ricorda come Amedeo VII abbia ricevuto il giuramento di fedeltà e abbia proceduto
«contra nonnullos ex dictis rebellibus et tuchinis», contro alcuni dei quali «fuit administrata iusticia» mentre con altri «graciose compositum et transsactum ad certas pecunie quantitates». I Valperga e i S. Martino sono rimessi «in possessionem realem terrarum locorum et hominum suorum», e la contessa acconsente, dichiarando il suo desiderio che «dictos nobiles et eorum singulos cum dictis eorum hominibus et subdictis et econtra ad pacis, concordie et transactionis graciam ducantur» °°°: per cui si stabilisce espressamente che nessuno dovrà più essere chiamato in giudizio o altrimenti molestato per i fatti trascorsi.
Il ritorno dei nobili nelle loro signorie fu accompagnato da atti formali di riconciliazione. Il conte ha imposto ai nobili di riconciliarsi con i ribelli senza rappresaglie; per cui i rappresentanti delle valle supplicano i signori di perdonare «omnia delicta omniaque maleficia, ligas, cohadunatas, iura, tuchinagium», e ottengono il perdono e l’investitura delle terre.
La rivolta dei Tuchini era finita e la pace nel Canavese stabilita.
Guarda le decorazioni di Casa Stria
°° Alessandro Barbero L’INSURREZIONE DEI TUCHINI NEL CANAVESE (1386-1391)
°°° Ivrea, Archivio Curia Vescovile, n. 139, protocollo di Enriotto Boca di Torre Canavese; cfr.